Roncofreddo
Il Territorio
Roncofreddo è un piccolo centro nell'entroterra romagnolo, sulle
colline fra Rimini e Cesena. Il paese capoluogo del Comune è situato a 314
metri sul livello del mare. Da qui si può ammirare un magnifico panorama della
riviera romagnola da Rimini a Cervia, dei paesi e delle colline circostanti.
Il territorio del Comune ha un'estensione di 51.72 km2 ed è
prevalentemente collinare con altitudini comprese fra i 100 e 400 metri sul
livello del mare.
I corsi d'acqua scorrono pressoché perpendicolari all'asse
appenninico: il fiume Savio ad ovest scende lungo una parte del confine
comunale in località Gualdo, i torrenti Pisciatello e Rigossa al centro
attraversano tutto il territorio, mentre il Rubicone coincide con il confine
meridionale.
Una delle caratteristiche del territorio è la presenza dei calanchi,
avvallamenti stretti e profondi prodotti dall'erosione dell'acqua sui terreni
argillosi, provocati e agevolati dal massiccio disboscamento degli estesi
boschi di farnia, di castagno e nocciolo tra il '700 e l'800. La diminuzione
della popolazione, il progressivo abbandono dei terreni poco fertili, la
minore domanda di legna da ardere hanno favorito il ritorno del bosco,
purtroppo non con le pregiate essenze originarie ma con altre come la robinia.
In una passeggiata mattutina lungo i sentieri che numerosi si
inerpicano tra calanchi e colline, nelle zone esposte ai primi raggi del sole è
facile imbattersi in fagiani e lepri, in prevalenza introdotti dall'uomo a
scopo di ripopolamento per la caccia. Nel pomeriggio, quando la temperatura
sale, è possibile osservare il volo planato della grande poiana o del veloce
falco. Mentre l'onnivoro tasso, l'istrice e la volpe dalle abitudini notturne
lasciano tracce visibili sui terreni umidi in prossimità dei piccoli corsi
d'acqua. Ultimamente anche il cinghiale ha fatto la sua comparsa, con dannose
incursioni nei campi coltivati e il capriolo scendendo dai monti vicini si è
impossessato di nuovi spazi. Fra i rettili il più interessante dal punto di
vista faunistico è il cervone, un colubro che può raggiungere i due metri e
mezzo di lunghezza, il leggendario “re de bess”.
L'economia
L'economia è prevalentemente agricola. Solo alcune fasce del
territorio, in particolare la frazione di Gualdo, presentano insediamenti
produttivi artigianali e industriali.
Negli ultimi decenni la tecnologia ha fornito ai contadini gli
strumenti meccanici per rendere il lavoro meno faticoso e più redditizio,
inoltre le coltivazioni “povere” e meno adatte ai terreni collinari come il
grano e il foraggio sono state gradualmente soppiantate da impianti a frutteto
con produzioni di pesche, ciliegie, albicocche, susine, uva. I vitigni più
diffusi sono il sangiovese, l'albana e il trebbiano che, grazie alla natura del
terreno, producono ottime uve per la vinificazione.
Anche l'orticoltura non viene trascurata: diffusa è la coltivazione
dei piselli, dei carciofi e delle fave.
Numerosi anche gli ulivi che da diversi secoli sono coltivati sulle
nostre colline grazie al clima favorevole;
comunque non costituiscono fonte primaria di reddito in quanto la
produzione di olio è limitata a quantità d'uso domestico.
Nelle terre alle altitudini più elevate, come quelle circostanti
Ciolaraldi e Montecodruzzo, che maggiormente si prestano alla coltivazione a
prato, da qualche decennio si sono stanziate alcune famiglie di pastori sardi
che hanno creato con tenacia floride aziende ovine e bovine con produzione
casearia.
Il 50% della forza lavoro è occupata nel settore agricolo, una minima
parte è assorbita nell'artigianato, il resto dei lavoratori sono impiegati
fuori sede, nelle ditte delle zone artigianali della via Emilia e nelle imprese
turistiche del litorale.
Cenni Storici
Le Origini
L'etimologia del nome Roncofreddo è incerta, come pure le origine del
paese. Le prime notizie documentate risalgono agli atti del Codice Bavaro
(antico registro amministrativo della Chiesa Ravennate risalente ai secoli
VII-X, attualmente custodito a Monaco di Baviera) dove al n.70 viene fatta
menzione della concessione da parte di un arcivescovo di Ravenna a Tebaldo,
figlio di Leone del Duca Orso, di un possedimento chiamato Fundum Roncofrigido.
Attorno all'anno mille, la località si popolò e divenne terra illustre
abitata da oltre 250 anime, come attesta la concessione di alcuni possedimenti
e castelli fra i quali anche Roncofreddo, fatta da Uberto vescovo di Rimini
nell'anno 1059 al conte Everardo e alla contessa Morozia.
I Malatesta
Nel XIII secolo Roncofreddo passò sotto il dominio del comune di
Rimini e poi della famiglia dei Malatesta signori di Rimini e contado.
Nell'anno 1197, all'atto di giuramento al comune di Rimini da parte
di Giovanni Malatesta, presenziarono i rappresentanti di tutti i castelli
sottoposti ai Malatesta, compreso Roncofreddo. Altra testimonianza certa
dell'esistenza di Roncofreddo nel primo periodo malatestiano viene offerta da
un atto di giuramento delle città e delle ville a fianco dei Malatesta contro
gli Urbinati: a Calbana il 28 settembre 1233 presenziarono anche i consoli roncofreddesi.
Dopo una breve parentesi di sudditanza alla signoria forlivese, il
Comune ritornò sotto il dominio dei Malatesta.
Nel 1283 Gianne lo Sciancato, detto anche Gianciotto, dopo aver ucciso
Paolo e Francesca, si rifugiò nel castello di Ciolaraldi. Il 25 gennaio 1324,
per porre fine alle liti tra il figlio Ramberto e Uberto, figlio di Paolo, e
promuovere la pace, fu organizzato nel castello un sontuoso banchetto. Ma il
convivio terminò in tragedia: al termine comparvero tre sicari che trucidarono
l'incauto Uberto.
Alla morte di Pandolfo, successe alla signoria di Rimini il nipote
Ferrammo, non gradito allo zio Ramberto, che dopo un tentativo fallito di
spodestarlo, si rifugiò nel castello di Roncofreddo. Ferrantino assediò il
comune e munì di guarnigioni pure Monteleone, Ciolaraldi e Castiglione.
Intervenne allora il legato pontificio Beltramo d'Ostia ed impose la tregua con
le condizioni che Ramberto rinunciasse ad ogni diritto sulla signoria di Rimini
in favore di Ferrantino, in cambio della vicaria a vita dei castelli di
Roncofreddo, Monteleone, Ciolaraldi e Castiglione. Ma Ferrantino pugnalò lo
zio Ramberto e fu estromesso dalla signoria Riminese. Il territorio di
Roncofreddo, allora, fu governato da Giovanni Malatesta che morì nel giugno del
1374. Gli successe il cognato, figlio di Bambo De' Rigacci.
Il castello di Roncofreddo ricorre sovente nelle vicende malatestiane
come strategico rifugio grazie alla posizione geografica ed al solido
fortilizio.
La storia di Roncofreddo coincise con quella di Rimini sino alla fine
del XV secolo. Cosi nel periodo di oscuramento della signoria Malatestiana
ritornò sotto il dominio diretto della S. Sede e successivamente fu concesso in
feudo alla famiglia Zampeschi di Forlimpopoli fino all'anno 1557.
Giacomo Malatesta
II territorio ritornò poi ai Malatesta del ramo di Sogliano attraverso
vicende fortunose. Antonello Zampeschi morì nell'anno 1551 lasciando due
figli minorenni, Brunoro e Cleopatra, e la reggenza alla madre la contessa
Lucrezia che maritò, con la signoria di Ronco-freddo in dote, la figlia
Cleopatra a Giacomo, figlio di Leonida Malatesta del ramo di Sogliano, conte di
Monte-cudruzzo e Ciolaraldi. La comunità roncofreddese, che caldeggiava il
legittimo erede Brunoro protestò vivacemente nelle due sedute consiliari del
13 e 21 dicembre dell'anno 1551. Il matrimonio fra Giacomo Malatesta e la
contessa Cleopatra fu comunque celebrato nel 1552, ma solo dopo 6 anni di liti
Giacomo riuscì ad impadronirsi del castello con la forza. Le angherie sofferte
dalla popolazione nel periodo successivo furono molte: nel memoriale inviato
dai cittadini al pontefice Pio IV nell'anno 1565 sono elencate le violenze e
usurpazioni dei soldati di Giacomo subite dagli abitanti della contrada.
Su Giacomo Malatesta, nel 1876, Emidio Mariani scrisse un'opera di
notevole interesse in quanto le fonti originali utilizzate sono in gran parte
andate distrutte nell'ultimo conflitto mondiale,
Giacomo Malatesta era nato a Montecodruzzo nel 1530 da Leonida
Malatesta del ramo di Sogliano e dalla nobildonna Cassandra Cini. Nel 1561,
dopo aver sistemato i problemi della signoria di Roncofreddo, partì al servizio
della Serenissima. Nel 1570 il pontefice eresse Roncofreddo e Montiano a
marchesato, nominando Giacomo primo marchese con titolo trasmissibile ai suoi
discendenti. Partì l'anno successivo nella guerra contro i Turchi e cadde nelle
mani del sultano. Dopo undici mesi di prigionia e dietro pagamento di un
riscatto fu liberato. Nei successivi anni fino alla morte visse al servizio di
Venezia ricoprendo incarichi di alta fiducia. Promosse numerosi interventi
urbanistici: allargò il perimetro delle mura castellane, favorendo lo sviluppo
dell'abitato con nuove costruzioni in quella parte detta Castelnuovo ed innalzò
due nuove porte: Porta Pia in onore del pontefice Pio V e Porta Ferretta in
onore della consorte Medea Ferretti, sua seconda moglie. Assieme alla consorte
Medea si adoperò per il benessere delle Monache Agostiniane edificando per loro
un nuovo monastero entro le mure castellane e la chiesa di S. Bartolomeo.
Favorì il sorgere del monastero degli Olivetani con la chiesa di S. Benedetto
in Roncofreddo, inoltre il convento dei frati Minori Osservanti a
Montecodruzzo, a cui affidò la chiesa da lui stesso precedentemente eretta di
S. Maria Liberatrice. Venne allora ripreso l'antico costume di esercitare il
libero mercato settimanale in tutti mercoledì dell'anno.
II 31 marzo del 1600 Giacomo morì in Roma, compianto da tutti i
ronco-freddesi che gli dedicarono una lapide ancor oggi visibile nell' ex
chiesa di S. Ercolano. Le sue spoglie, sepolte temporaneamente nella Chiesa di
Ara Coeli, furono trasferite per volontà del figlio Carlo Felice nella chiesa
dei frati Cappuccini di Cesena, accanto a quelle della moglie Medea, morta 4
anni prima.
A Giacomo successe nell'aprile del 1600 il suo primogenito ed unico
erede Carlo Felice. Il nuovo marchese dimorò poco nella signoria essendo prima
al servizio di Venezia, poi della Chiesa in Avignone. In sua vece ressero il
marchesato la sorella Vittoria, la moglie Margherita Thiene e in seguito il
figlio Leonida. La famiglia trasferì la sua residenza in Montiano. Con il
consenso della Congregazione dei Baroni, Carlo Felice alienò gran parte del
feudo e vendette Montecodruzzo e Ciolaraldi al conte Antonio Ruini di Bologna
e Serra e Tornano ai marchesi Bevilacqua.
La Fine dei Malatesta
Carlo Felice morì nell'anno 1634 e a lui successe l'unico figlio
Leonida, che mori nel 1639 all'età di 41 anni lasciando due figlie, Francesca
Isabella e Claudia Margherita sotto la tutela della madre Dionira Coppoli.
Leonida fu l'ultimo discendente maschile dei Malatesta del ramo di Sogliano,
marchesi di Roncofreddo e Montiano e conti di Montecodruzzo e annessi.
Nell'anno 1645 assunse la reggenza la figlia Francesca Isabella. Alla sua
morte nel 1659 il marchesato passò alla sorella Claudia Margherita, andata nel
frattempo sposa al conte Rodolfo Spada. Nel 1673 alla scomparsa di Claudia il
marchesato sarebbe dovuto andare ai figli Leonida, Muzio e Paolo Spada. La
Congregazione dei Baroni assunse il possesso di Roncofreddo, trasferendo in un
primo momento il marchesato al Conte Alfonso Ercolani che lo tenne fino
all'anno 1694 e che cedette poi di sua volontà al principe Don Livio
Odescalchi, il quale governò fino all'anno 1703. Nel frattempo la famiglia
Spada e precisamente Muzio, ciambellano di sua Maestà Imperiale, rinnovò in
Roma la causa alla Congregazione dei Baroni, ne uscì vincitore, ritornando
nell'anno 1703 in possesso dell'usurpato feudo. Muzio fu buon signore che curò
il feudo con grande attenzione e continua sollecitudine, tenendovi governatori
reputati, sapienti e probi. Gli successero il figlio Leonida nel 1710 ed il
nipote Muzio Bali Spada nel 1764. Quest'ultimo resse il marchesato fino al
1797, anno in cui, per forza del decreto emanato dalla Centrale d'Emilia furono
aboliti i feudi.
Napoleone
La campagna d'Italia del 1796, condotta da Napoleone Bonaparte, aveva
portato in breve tempo le armate francesi al centro della pianura Padana, e
nel mese di giugno furono occupate tutte le maggiori città della Romagna, così
anche Roncofreddo subì le truppe bonapartiste.
Furono soppressi i Monasteri dei Monaci Olivetani e delle Monache
Agostiniane.
Roncofreddo fu unito prima a Rimini, poi nel 1798 a Cesena sotto il
distretto di Longiano e successivamente a Sogliano nel 1805. Con la caduta di
Napoleone ed il rimpatrio dall'esilio del Pontefice Pio VII, nel 1816
Roncofreddo ritornò sotto il dominio della Chiesa.
Il passaggio di Garibaldi
Nel periodo del risorgimento non vi furono avvenimenti di particolare
interesse oltre al passaggio per le nostre terre dell'eroe dei due mondi,
Giuseppe Garibaldi. Negli appunti di Eugenio Berardi, si legge che Garibaldi il
2 luglio 1849 fuggì da Roma attraversò l'Italia e giunse il 31 luglio a San
Marino con 1500 soldati malconci. Pensò di procedere alla volta di Venezia
assediata dagli austriaci solo con 350 fedelissimi. Alle due della notte del 1°
agosto 1849 lasciò San Marino diretto a Cesenatico. Passò il Marecchia in
prossimità di Pietracuta poi giunse a Montebello, Masrola, S. Giovanni in
Galilea. Proseguì quindi verso Sogliano fermandosi a metà strada alla Cà Nova e
di qui scese al fiume Rubicone seguendo la strada Cupa e arrivando alla chiesa
di Musano. Quando a Roncofreddo se ne venne a conoscenza, gli abitanti gli
inviarono viveri. Qui venne raggiunto pure da Padre Ugo. Bassi che da San
Marino aveva preso altra strada. Fu quest'ultimo a presentarsi al parroco, don
Pompilio Fiorentini, a chiedere la chiesa per rifugiare gli uomini stanchi e
laceri in quel pomeriggio piovoso. Il parroco assentì e portò via dal
tabernacolo il Santissimo Sacramento e poi invitò a casa sua il Generale e
Anita. Alle ore sei pomeridiane dello stesso giorno Garibaldi ripartì da
Musano, passando per Cento, Longiano, Gatteo e a Cesenatico riuscì ad
imbarcarsi per Venezia. Un piccolo monumento commemorativo fu eretto vicino
alla chiesa di Musano nel 1° centenario dello storico evento.
Regno d'Italia
L'unità d'Italia, avvenuta nel 1860, determinò l'ampliamento dei
confini del territorio comunale fino al raggiungimento dell'estensione
attuale, e al 1° censimento effettuato nel 1861 i residenti erano 4.066.
Nel corso dei primi anni del Regno d'Italia il comune fu scosso da un
movimento di protesta, tendente a separare alcune frazioni e borgate del
territorio comunale, per una ipotetica annessione al Comune di Cesena. A tale
scopo una petizione firmata da 28 elettori di quelle contrade era stata
presentata agli organi competenti. In una lettera, di cui riportiamo alcuni
brani, datata 21 novembre 1868, firmata dal sindaco Virginio Tridenti e
inviata ai consiglieri provinciali, è perorata l'integrità del territorio :
"...4300 abitanti senza un obolo di passività, anzi con qualche
avanzo, la di cui amministrazione tenuta regolarmente e colle norme delle
vigenti prescrizioni Governative meritò la lode dell'Autorità Prefettizia
della provincia..." e ancora "... Roncofreddo mai indietreggiò fra i
paesi dell'Emilia nei movimenti politici prima del cambiamento di
governo,..." e "... il primo fu del circondario che impiantò il Governo Provvisorio alzandovi il
Nazionale Vessillo".
La 2° Guerra Mondiale
Nel corso della seconda guerra mondiale, nel giugno del 1943 in
seguito al ritrovamento del cadavere di un soldato tedesco, dopo numerosi
rastrellamenti furono arrestati e fucilati 3 cittadini. La signora Fiorina
Paganelli, in quei giorni giovane quattordicenne, ricorda: "Ero sulla
porta di casa quando passò il plotone con questi 3 ragazzi, erano in
canottiera, camminavano a testa bassa." Un monumento fu eretto nel luogo
dell'esecuzione avvenuta vicino al cimitero. A fine settembre del 1944 in una
notte piovosa giunsero i primi tedeschi in ritirata da San Marino, segnalando
così ravvicinarsi del fronte. La gente sfollò nelle gallerie scavate lungo i
dirupi, alcune ancora esistenti, e seguirono intensi bombardamenti inglesi. Il
10 ottobre 1944 le truppe indiane dell'esercito inglese liberarono il paese. I
danni agli edifici risultarono ingenti ma l'abitato fu tenacemente ricostruito.
Ben più difficile fu rimarginare i lutti e le ferite morali che avevano colpito
numerose famiglie.
Roncofreddo per la sua posizione fu luogo munito di difese fin dai
tempi più remoti. All'epoca il paese era circoscritto da solide mura che si
presentavano con l'assetto e la figura di una ellisse schiacciata e in cima al
monte che sta a cavaliere del paese si ergevano il fortilizio e la rocca
circondati da tre cerchie di mura. Sull'unica porta d'accesso al castello fu
eretta a circa metà del XVIII secolo l'attuale torre campanaria. Dai primi del
'600 il Castello e le mura, e molti altri edifici furono trascurati e
abbandonati al degrado, dall'800 furono in parte abbattuti per recuperare
materiale edile, così fino al 1940 quando anche Porta Pia fu smantellata.
Torre Civica • Si erge sul lato nord del palazzo comunale in uno degli
angoli più caratteristici del centro abitato. I fabbricati circostanti hanno
mantenuto le caratteristiche di un tempo e, disposti a semicerchio, delimitano
l'attuale piazzetta Allende, mantenendo l'originale pianta medioevale. La
torre fu costruita verso la metà del XVIII secolo su un'antica porta
trecentesca in blocchi di pietra arenaria con arco a sesto acuto. Ha un'altezza
di 20 metri circa e pianta quadrangolare. La campana veniva suonata da un
addetto comunale per scandire l'alba, il mezzogiorno, come pure l'ora di
scuola o particolari eventi quali le convocazioni del Consiglio Comunale e le
feste paesane, e ancora per avvertire di pericoli incombenti.
Nel 1915 fu dotata di un orologio a pesi. I bombardamenti dell'ottobre
1944 arrecarono minimi danni strutturali, ma l'orologio fu irrimediabilmente
danneggiato e quindi sostituito con uno elettrico.
Mura • Quello che resta delle antiche mura, pochissimi tratti a
sud-est del paese, non è che una piccola parte delle tré cinte che cingevano
l'abitato. Il tratto più antico originale è quello adiacente alla via Porta
Pia in prossimità dei giardini e comprendente la base di un torrione.
Fontane Malatestiane • A circa mezzo chilometro a nord del paese
sorgono le sobrie fontane che dall'Ottocento al dopoguerra hanno erogato acqua
potabile al paese. La tradizione fa risalire le origini al periodo
malatestiano.
Chiesa parrocchiale di S. Biagio • La chiesa parrocchiale di S.
Biagio, patrono di Roncofreddo, fu edificata fra il 1703 e il 1716, dopo il
crollo di quella più antica ubicata in prossimità della porta Pia avvenuto
nell'anno 1697. La pianta originale presenta una navata, con un altare maggiore
e quattro laterali, il coro e l'organo. I bombardamenti dell'autunno 1944
provocarono ingenti danni e la ristrutturazione si occupò del tetto andato
completamente distrutto, e anche della facciata, mentre il campanile
pericolante fu abbattuto e riedificato negli anni '50 sulla parte sinistra.
All'interno si trovano tele di pregio artistico provenienti dalla
chiesa del monastero dei Monaci Olivetani: al centro del Presbiterio un
Crocefisso del XV secolo, ai lati i dipinti dell'Annunciazione e S. Francesca
Romana del pittore Antonio Cimatori detto il Visacci (1550-1623). Sempre di
quel periodo una tela raffigurante S. Benedetto di autore non identificato.
Sopra l'unico altare laterale rimasto si trova un quadro del XVIII
secolo raffigurante la crocifissione di A. Fanzaresi di Fori! (1700-1772),
allievo di F. Cignani. Si conservano inoltre numerosi oggetti e paramenti sacri
antichi, come pianete, piviali, tovaglie per altari, tutti decorati e ricamati
a mano e di ottima fattura. Recentemente sono stati restaurati l'altare in
marmo, la pavimentazione ed il coro.
Ex-Casa del Fascio • Sul colle che domina l'abitato, dove in origine
sorgeva il ca-stello, fu edificata alla fine degli anni Venti la Casa del
Fascio. L'edificio ha pianta rettangolare e si ripete su due piani, con torre
campanaria nell'angolo nord. All'interno lo spazio principale è una sala per
rappresentazioni teatrali all'italiana, detta scatolata, cioè un unica aula,
con il ballattoio a ferro di cavallo. Costituì l'elemento architettonico
principale del regime, adibito agli uffici amministrativi , alle attività
sociali e manifestazioni ricreative. Nell'immediato dopoguerra fu utilizzata
come sede provvisoria del municipio in attesa del termine dei lavori di
ripristino della sede originale del comune. In seguito ospitò saltuariamente
manifestazioni musicali e serate danzanti. Purtroppo dagli anni Sessanta le
condizioni di degrado l'hanno resa inagibile. Attualmente l'amministrazione ha
dato inizio ai lavori per un suo recupero come centro multimediale.
Chiesa del Zotto • A poche centinaia di metri a sud dell'abitato di
Roncofreddo si trova l'Oratorio della Madonna del Zotto. Un edificio sobrio la
cui costruzione fu promossa dal parroco della chiesa di S. Biagio Don Giovanni
Benzi per ospitare l'immagine di una Madonna con Bambino affrescata su nudo
sasso (da qui l'appellativo zotto-sasso} da tempo venerata in una vicina cella
pericolante. Nel 1623 fu benedetta l'area e posta la prima pietra e l'anno
successivo, terminata la costruzione, vi fu trasferita l'immagine prelevando la
parte del muro sulla quale era dipinta.
Musano
Musano è una località rurale che si incontra salendo dalla vallata del
Rubicone verso Roncofreddo. La tortuosa strada attraversa una campagna
coltivata a frutteti e oliveti e offre al passante una piacevole vista.
Le prime notizie di Musano risalgono al VII secolo e sono riportate
dal Codice Bavaro. La località era un fondo (“fundum Muciani” o “Musiani” o
“Musani”) dipendente da vescovi di Ravenna, che nel corso del tempo ne avevano
esteso il territorio.
Intorno all'anno mille i monaci benedettini di Rimini vi fecero
edificare una chiesa dedicandola a San Giuliano (Presso il monastero riminese
era custodita la tomba del santo).
Verso la metà del Quattrocento, nella chiesa di Musano fu costruita
una cappella alla Beata Vergine del Carmine, alla quale concorse un tale
Giorgio di Monte Caprile (Casteldelci). Pare che la facciata della chiesa di
Musano debba la sua attuale sistemazione a Giuseppe Garibaldi, che volle
esprimere cosi la propria gratitudine per l'ospitalità ricevuta nel piccolo
paese.
Cento
Sulla strada provinciale che porta a Longiano si incontra un
agglomerato di case disposte sul crinale delle vallate del Rubicone e della
Rigossa. Cento, menzionata nel Codice Bavaro, fu possedimento degli
Arcivescovi ravennati insieme a Villa Venti dal VII alla metà del X secolo. La
chiesa dedicata a Maria Vergine conserva un opera tra le più interessanti del
periodo tardo gotico in Emilia Romagna. La tempera su tavola risale ai primi
decenni del XV secolo e rappresenta la Madonna in Trono con il Bambino e due
Angeli, di autore ignoto.
La fonderia di campane di proprietà dei F.lli Baldini, esistente dal
1500 al 1850 nei pressi del frantoio, era specializzata nella fusione di
campane di grandi dimensioni.
Nella vicina località di Villa Venti nel 1640 fu costruito l'Oratorio
di S. Carlo Borromeo (attualmente in stato di abbandono), per volontà di Mons.
G. Ghini della famiglia senese che qui dimorò prima di stabilirsi a Cesena.
Santa Paola
S. Paola si trova a sudovest di Roncofreddo a un paio di chilometri
sulla strada che porta a Sogliano. Il paese e la Pieve prendono il nome dalla
santa nata e vissuta in quella località verso il VI secolo d.c. e sono
ricordati in alcuni documenti anteriori al mille, prima come S. Stefania
(precisamente in tre pergamene ravennati e in tre citazioni del Codice Bavaro)
poi anche con il nome di S. Paola e verso il XII secolo, solo con quello di S.
Paola. La Pieve sin dalle origini designava il territorio in cui era stanziata
la comunità e nell'alto Medioevo divenne chiesa battesimale.
Numerose leggende sono fiorite sulla vita della santa e tramandate
nella tradizione popolare. Fra queste la più antica la vuole figlia di pastori
a Castiglione. Alla pastorella vengono attribuiti alcuni miracoli tra i quali
la mutazione in petali di rosa dei sassolini tenuti nella tasca del grembiule
per
ricordare le preghiere. La santa morì a soli 15 anni e il corpo fu
conservato nel sarcofago in pietra fino all'anno 1801 quando le reliquie furono
estratte e riposte in una piccola urna di legno. Nel 1980 furono trasferite
nell'urna attuale. La pieve restaurata in diverse occasioni è ad un'unica
navata con la facciata tipicamente settecentesca. Il campanile, ricostruito
nell'anno 1780, è di pianta quadrangolare con una piccola cupola sul lucernaio.
Dietro l'altare maggiore una pregevole tela a olio di autore ignoto,
datata 1748, raffigura in basso S. Paola, fra S. Sebastiano e S. Francesco da
Paola, e nella parte superiore la Pietà. Quattro sono gli altari laterali: il
primo a destra dedicato a S. Paola, quello di fronte a S. Caterina
d'Alessandria; entrambi sono affrescati con icone delle sante. Tali immagini
sono attribuite al pittore forlivese Livio Agresti (1508-1580). Il secondo a
destra è dedicato alla Madonna del Carmine celebrata con una statua in legno e
sul secondo a sinistra si trova un crocefisso, scultura lignea del 1600. Tutti
e quattro gli altari sono ornati con paliotti del 1746 ottimamente conservati.
Interessante il Battistero cinquecentesco in pietra con incastonato un catino
in ceramica faentina del 1723 e all'ingresso le due acquasantiere del 1619 e
1626. Nella cripta sotto l'altare maggiore è custodito il sarcofago in pietra
grezza che racchiuse le ossa di S. Paola fino al 1801.
I Paliotti
Con il termine paliotto viene indicato il rivestimento liturgico
dell'altare (da palliare - ricoprire).
Originariamente era una lastra di pietra scolpita e decorata, fu poi
anche eseguito con altri materiali quali avorio, metallo, legno, stoffe
preziose. Erano inizialmente intercambiabili a seconda delle solennità da
celebrare, poi fissi legati alla dedicazione dell'altare.
II paliotto in scagliola^ nasce s '* come imitazione economica del
costosissimo intarsio marmoreo. La materia prima utilizzata e una finissima
polvere essiccata di gesso detto selenite, con cristalli formati da lamelle
trasparenti a scaglie (da qui il termine scagliola). Il legante utilizzato era
la colla di coniglio che conferiva maggior consistenza e ritardava
l'indurimento permettendo una più agevole lavorazione. La pasta veniva
colorata con l'aggiunta di pigmenti come terre naturali e bruciate e ossidi
minerali. I! nero cromia basilare del manufatto, poteva essere ottenuto da ossa
calcificate (avorio), o nero fumo (dalla carbonizzazione di tralci di vite).
Su una intelaiatura di legno e arelle o canne si stendeva una base di
gesso, acqua e colla. Poi una “coperta” millimetrica di scagliola livellata
sulla quale viene riportato con la tecnica dello spolvero il disegno. Con punte
d'avorio si procedeva allora allo scavo dove depositare la pasta colorata. Per
ogni colore si attendeva il suo indurimento, si levigava e si procedeva ad un
ulteriore scavo per un ulteriore aggiunta cromatica. Solitamente terminati
tutti i decori il gesso bianco rimasto veniva asportato e riempito di nero. A
volte il colore di fondo era posto nella fase iniziale.
Il manufatto indurito veniva levigato con il carbon dolce (di silice o
di faggio), lucidato poi con olio di noce tale da conferire quella lucentezza
propria delle superfici marmoree. Era una lavorazione laboriosa che poteva
richiedere anche tre mesi.
Castiglione
Antico borgo, si trova nella vallata del Rigossa, tra Roncofreddo e
Montenovo. Fu sottoposto ai Malatesta e munito di un castello del quale non
rimane traccia. La chiesa di S. Biagio ad una sola navata era soggetta alla
Pieve di S. Paola. Nel corso degli anni '60-'70 ha subito una forte emigrazione
e attualmente la popolazione conta pochissime unità.
Ciolaraldi
Ciolaraldi viene menzionata prima del X secolo nel codice Bavaro come
fondo e nel 1216 era già un fiorente castello di proprietà della famiglia
Malatesta. Qui nel 1324 venne assassinato Uberto Malatesta, figlio di Paolo il
Bello. Per qualche secolo il paese passò da un Malatesta all'altro e nel 1577
fu annesso al marchesato di Roncofreddo. Il 13 marzo 1599 Giacomo Malatesta
istituì una dote di 50 lire per le ragazze di Ciolaraldi e di Montecodruzzo.
Nel 1602 Carlo Felice vendette Ciolaraldi al conte bolognese Antonio Ruini, la
cui famiglia vi dominò fino al 1701. Rinaldo Albizzi di Cesena ne divenne
signore nel 1702. Successivamente divenne proprietà della Congregazione dei
Baroni di Roma.
Dopo l'ultimo conflitto mondiale, il paese si è via via spopolato.
Monteleone
Monteleone è un piccolo borgo medioevale raccolto a mezza luna attorno
al vecchio castello posto su un colle in posizione dominante.
Le sue antiche origini non sono documentate. Attorno al Mille fu un
possedimento della chiesa ravennate.
Nel 1233 Monteleone giurò sottomissione e fedeltà al comune di Rimini
e gli si alleò contro gli Urbinati. Nel 1279 ebbe inizio un periodo di forte
discordia fra il vescovo e il Comune di Rimini per il dominio sulle ville e i
castelli del territorio di Monteleone. Divenne possedimento dei Malatesta:
dapprima Ramberto Malatesta e poi Ferrantino che tenne Monteleone fino al 1335,
quando se ne appropriò Francesco Ordelaffi, costretto tré anni dopo a cederlo
a Nolfo da Montefeltro. Nel 1358 fu sotto il diretto dominio della Santa Sede.
Nel 1433 i fratelli Sigi-smondo Pandolfo e Domenico, si divisero il feudo e
Pandolfo donò a Ramberto conte di Giaggiolo il castello di Monteleone con
obbligo di una riconoscenza annua. Nel 1485 ritornò all'arcivescovo di
Ravenna, al tempo Fillasio Roverella di Cesena che lo diede in feudo alla sua
famiglia alla quale restò fino al 1745. I potenti Roverella tenevano a Cesena
una fiorente facoltà di giurisprudenza e avevano il privilegio di nominare
notai e dottori.
Durante questo periodo i Roverella ampliarono e trasformarono il
castello in palazzo di campagna.
Nel 1745 il nuovo arcivescovo di Ravenna, Ferdinando Romualdo
Guiccioli, la diede al fratello Ignazio. Dall'abolizione dei feudi nel 1797 al
1960 le terre e il castello rimasero proprietà della famiglia Guiccioli. Il
conte Alessandro, fu inviato presso il direttorio di Parigi, come delegato di
Ferrara, guadagnandosi la stima di Napoleone che lo nominò membro
dell'Amministrazione Centrale dell'Emilia. Nel 1817 risiedeva a Forll ed èra
gran maestro della Carboneria, alla quale avrebbe iscritto il poeta Lord Byron,
amico della moglie Teresa Gamba. Il castello, residenza di campagna della
famiglia, fu meta di frequenti visite da parte del poeta inglese e molto
probabilmente frequentato luogo di riunioni Carbonare.
L'ultimo discendente della famiglia Guiccioli, la contessa Margherita,
ha venduto nel 1960 i terreni ed il castello (ora restaurato e arredato con
cura) al conte Giovanni Volpe, figlio del celebre storico Gioacchino Volpe.
Intorno al 1520 la chiesa parrocchiale di S. Cristoforo in località
“Sighizzano” fu trasferita entro le mura castellane, nell'oratorio di S.
Caterina, divenendo chiesa di S. Cristoforo e S. Caterina. Si conservano una
statua della Madonna con il Bambino, del XVIII secolo e due campane della
fonderia Baldini di Roncofreddo.
Sorrivoli
Il toponimo antico del luogo è “Subripola”, un abitato sopra una riva
o collina ed irrigato da rivoli o fiumiciattoli. Certamente fu luogo importante
fin da antichissima data, essendo posto sul confine fra Roma e la Gallia.
Parecchi studiosi indicano il torrente Pisciatello o Urgone, che scorre nella
vallata fra Sorrivoli e Monteleone,, come il vero Rubicone: il problema ha
sollevato dispute non ancora risolte. Il castello era una proprietà degli
arcivescovi di Ravenna. Nell'anno 970, dall'arcivescovo Onesto fu dato in
feudo al conte Rodolfo di Rimini: poi ritornò alla chiesa Ravennate, cui
appartenne lungamente.
L'Imperatore Ottone IV confermò tutti i privilegi concessi dai suoi
predecessori e nell'anno 1209 redasse uno speciale rapporto su “Sobrivole”;
così fecero di “Subrivole” l'Imperatore Federico II nel 1220 e Papa Gregorio IX
nell'anno 1228. Nel 1237 era soggetto ai Malatesta e nel 1290 passò alla Santa
Sede, che lo affidò alla chiesa Ravennate nel 1302. Dagli annali cesenati si
apprende che il castello nel 1318 si ribellò e subentrarono gli Articlini di
Cesena. In quel tempo Cesena, autonomo comune, intendeva spodestare la chiesa
Ravennate dai possessi del cesenate e, dal 1333 al 1360 circa, Sorrivoli
ubbidì al comune di Cesena.
Ritornò in possesso degli arcivescovi ravennati e andò in feudo ai
Roverella alla fine del XV secolo e questa famiglia vi costruì una rocca ben
munita con ponte levatoio. Il conte Filiasio Roverella, arcivescovo di
Ravenna, si ritirò nel castello e vi morì nel 1525. Coi Roverella, il castello
di Sorrivoli conobbe il massimo splendore nel commercio e nelle arti: nel 1661
funzionò nel castello una stamperia, molto importante in Romagna, condotta dai
Faberi. Quando nel 1857 con la morte del conte Pietro la famiglia si estinse,
la proprietà passò alla famiglia Allocatelli Fabbri che, nel 1944 dopo che i
bombardamenti avevano distrutto la Chiesa, ne fecero dono alla prebenda
parrocchiale.
L'abitato di Sorrivoli conserva ancora le caratteristiche di un borgo
medioevale fortificato. Il castello, attualmente adibito ad abitazione e chiesa
parrocchiale, è in buono stato conservativo sia nei muri strutturali che negli
spazi interni. La rocca è ancora munita del maschio, privo di merlatura, come
del resto le cortine. Ancora agibili sono i sotterranei, vasti cameroni con
copertura a volta, che fino al XVI secolo venivano utilizzati come scuderie.
Il Festival dei Grandi Burattinai
Dal 1988 si svolge ogni anno al Castello di Sorrivoli, nella seconda
metà di agosto, il Festival dei ^ Burattini.
E' un avvenimento unico nel suo genere in Italia. Per una decina di
giorni, infatti, si danno qui appuntamento operatori della scuola, della
terapia e burattinai di professione per scambiarsi le esperienza sull'uso del
teatro di animazione per fini educativi e/o terapeutici.
Nelle cantine del castello è possibile poi partecipare a laboratori
tecnici per la costruzione e l'animazione dei burattini. Gli aspiranti
burattinai possono imparare la difficile arte della scolpi-tura delle teste di
legno (generalmente viene utilizzato il cirmolo, pino d'alta montagna),
scoprire i trucchi del mestiere e approfondire le tecniche di recitazione.
Alla sera, la corte del castello diviene luogo di spettacolo e ospita
un folto pubblico, che in questi anni ha avuto l'occasione di vedere all'opera
le migliori compagnie burattinaio della tradizione presenti sul
territorio nazionale. Per questo il Festival di Sorrivoli è una
occasione molto ambita dai burattinai italiani che qui trovano una calorosa
accoglienza e ospitalità.
Diolaguradia
“Castrum Deo la guarde”, per lungo tempo di proprietà degli
arcivescovi ravennati, e' nominato nelle cronache cesenati fin dall'anno 1136 e
nella Descriptio Romandiole redatta dal Cardinale Anglico nell'anno 1371 aveva
25 focolari. Il vescovo cesenate nell'anno 1485 trasformo l'oratorio di
S.Andrea in chiesa parrocchiale.
Un aneddoto curioso a proposito dell'origine del nome narra che
"in tempo del mal contagioso della peste molti dei cesenati si rifugiarono
nella detta parrocchia e quivi sui monti detti Delle vacche con capanne e
tuguri miracolosamente si salvarono". La bella posizione collinare e la
vicinanza alla città di Cesena (9 Km.), hanno favorito lo sviluppo di una zona
turistica e residenziale.
Oriola
Sull'antica strada Garampa fra Montecodruzzo e Diolaguardia si
incontra Oriola: un gruppo di case allineate lungo la strada e dove sorge all'incrocio
con la strada comunale, S. Lucia la recente chiesa edificata grazie ad un
lascito di Rosa Onofri.
Agli inizi del 1900, con il sorgere di nuove abitazioni, era divenuto
un centro importante, tanto che nel 1918 venne istituito un ufficio postale a servizio
della 2° zona ed anche il comune nel 1930 istituì un ufficio di stato civile
con un incaricato per redigere gli atti di nascita e di morte.
Ardiano e Montebora
Ardiano si trova a lato del torrente Pisciatello sulle colline
circostanti Sorrivoli e Diolaguardia e viene associata alla vicina località di
Montebora.
Nel 1371 il Cardinale Anglico censiva 15 focolari a Ardiano e 10 a
Montebora.
Nel 1338 in seguito alla distruzione del vicino castello di
Casalecchio, con il permesso di Francesco Ordelaffi venne edificato a Montebora
il nuovo castello, che divenne poi rifugio di guelfi romagnoli e venne
abbattuto dallo stesso Ordelaffi.
La parrocchia di Maria Assunta ad Ardiano è ricordata sin dal 1327 per
il pagamento della decima alla Chiesa Ravennate.
Gualdo
Gualdo si trova lungo la vallata del fiume Savio all'estremità del
territorio comunale ed è fiancheggiato dalla superstrada E45.
Questa località faceva parte della parrocchia di Montecodruzzo ed i
pochi abitanti frequentavano il vicino Oratorio di San Bartolo a Montemaggiore
che fu soppresso verso il 1800 durante il periodo napoleonico. Nel 1934 gli
abitanti ottennero il ripristino di un luogo di culto, e nel 1936 quando morì
l'ultimo rettore della Chiesa di S. Maria Liberatrice in Montecodruzzo, il
relativo beneficio fu trasferito alla nuova chiesa in Gualdo che nel 1942 venne
trasformata da oratorio in parrocchia.
Il considerevole sviluppo urbanistico della zona e l'insediarsi di
alcune industrie nell'ultimo ventennio, hanno favorito un notevole aumento
della popolazione che nel censimento della popolazione del 1991 è di 263
persone.
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