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Calimera (buongiorno, in greco) è un comune della Grecia Salentina, nell'area mediana del Salento, compresa tra Gallipoli ed Otranto, dove lingua, storia, tradizioni, musica, gastronomia hanno l'impronta greca. La presenza di un ospizio, nella corte analoga, di una locanda, di un ospedale, annesso alla chiesa di Sant'Antonio, tutti luoghi di sosta e ristoro d’origine religiosa o laica, ci fanno capire che siamo in presenza di un casale aperto medievale. Sorta lungo la viabilità messapica e poi romana (vi era situata la XII stazione di posta) che collegava Lecce ad Otranto, Calimera mostra, a chi voglia visitarla, segni interessanti.
Seguendo un criterio cronologico, incontriamo, poco lontano dal paese, il Dolmen Placa in contrada San Biagio e la Specchia dei Mori (Segla u demonìu in griko, il dialetto greco) verso Martano. Nell’area una volta al limite di un esteso bosco di lecci, fonte di sostentamento per gran parte degli abitanti, soprattutto craunari (carbonai), incontriamo la chiesetta semiipogea di San Biagio con un affresco settecentesco. È probabilmente una sovrapposizione recente, in un insediamento che risale al Mille, al centro di un'area archeologica che mostra frequentazioni dal II al XV secolo d.C.. In un'altra chiesetta nei pressi, dedicata a San Vito, al centro della navata è infisso un masso forato, sopravvivenza di un rito pagano, propiziatorio della fertilità: della terra, delle madri, delle piante, degli animali. È un rito che, con le stesse modalità, si svolgeva a Bologna dov'è l'attuale chiesa di S.Stefano, a Seres (Macedonia), a Cefalonia, a Tokio e presso parecchie civiltà precristiane. Nella campagna s’incontrano molti furni o pagghiari, caratteristiche costruzioni a secco troncoconiche e troncopiramidali, ed i resti di un insediamento medievale (tombe, fosse frumentarie, grotte, tracciati viarii).
Nel paese sono tipiche le case a corte, presenti nell'area del Mediterraneo, soprattutto in Grecia. Segni della tipologia edilizia "a corte" si trovano a Creta, già negli insediamenti della civiltà minoica. Erano le costruzioni povere, tipiche della civiltà contadina, risultato dell’evoluzione della capanna con cortile antistante. Tale tipologia è frequente in tutta l'area del Mediterraneo, perché determinata da analoghe condizioni climatiche, che consentono di spostare all'aperto parte di lavori che in altre aree devono svolgersi al chiuso: la molitura del grano, il lavaggio dei panni, la preparazione per l'inverno dei prodotti agricoli, ecc. L'unico vano coperto è insieme stanza da letto e da pranzo, oltre che sede di svolgimento di alcuni lavori domestici (tessitura al telaio, cucina, ecc.). Con il miglioramento delle condizioni di vita dei contadini, che da braccianti passano ad essere piccoli proprietari, la casa a corte elementare si arricchisce di un vano carraio coperto, di collegamento tra la strada e la casa, detto samportu o sampuertu. In questo vano erano ricoverati il cavallo ed il traino, era depositata la paglia e gli attrezzi da lavoro. Col passare del tempo, nel cortile, in greco avlì, è edificata un'altra stanza: la casa del primogenito. Si giunge così alle corti plurifamiliari. Ultima variazione, rispetto all'architettura povera originale, è la realizzazione di decorazioni in pietra leccese: l'esplosione dei motivi barocchi in portali, mensole, balconi e mignani, dona alle case a corte caratteristiche che le differenziano ormai considerevolmente dalle capanne con cortile antistante da cui traggono origine.
Il frantoio ipogeo Rescio è l'ultimo dei frantoi sotterranei che scandivano il percorso del centro antico. Presso la Bilblioteca Comunale, l'architrave proveniente dalla chiesetta di rito greco, dedicata alla Madonna di Leuca, testimonia la grecità di Calimera. In un affresco seicentesco, dedicato alla Madonna di Costantinopoli, si nota la convivenza del rito latino e del rito greco, nella foggia dei vestiti di due vescovi effigiati, S. Eligio (occidentale) e S. Elia (orientale), probabile Santo Patrono prima dell'attuale, San Brizio, vescovo di Tours ed allievo di San Martino.
Rapporti culturali con la vicina Grecia sono stati avviati già dal secolo scorso, per merito di uno studioso locale, Vito Domenico Palumbo, insegnante poliglotta e ricercatore attento di lingua, usi, tradizioni locali, oltre che Autore egli stesso di tanti racconti e componimenti poetici, in griko, in neogreco, italiano, francese e tedesco. Sulla scia dell'insigne studioso, tanti ellenisti, nel '900, hanno dato vigore agli scambi culturali ed alla ricerca linguistica. Anche oggi, sono numerosi i momenti d'incontro con l'altra sponda dell'Adriatico. La partecipazione di comuni ed associazioni culturali della Grecia Salentina alla Fiera Nazionale di Jannina, nell'Epiro, conferenze nelle Università greche, concerti di musica popolare, pubblicazioni nelle due lingue (anzi tre, con il griko), visite di studio, tornano a cementare rapporti mai interrotti. Artefici della ripresa degli scambi, sono associazioni e singoli studiosi incoraggiati e sostenuti, nei limiti del possibile, dall'Amministrazione comunale. C'è da dire che, a differenza di altre minoranze presenti in Italia, la minoranza grecofona del Salento non ha mai dato alla sua attività caratteristiche rivendicazionistiche, perché la cultura greca, che ha impregnato il Salento soprattutto nel periodo bizantino, ha avuto qui una sua evoluzione originale, ormai del tutto autonoma dalla Grecia, con cui si hanno rapporti esclusivamente culturali, senza rivendicazioni nostalgiche di alcun tipo. Simbolo degli scambi culturali con la Grecia, è la stele in marmo attico del IV sec. a. C., donata dal Comune di Atene a Calimera nel 1960, a seguito del riallacciarsi dei rapporti culturali che, nel solco dell'antica tradizione, erano stati ripresi dal sindaco dell'epoca, Giannino Aprile. E' una stele funeraria che raffigura la morte di una giovane donna, Patroclia ed è ospitata in un'edicola che reca l'epigrafe "Zeni esù en ise ettù 's ti Kalimera" (Straniera tu non sei qui a Calimera). Di notevole valore artistico è la cappella del Crocifisso, affrescata, restaurata recentemente, che custodisce al suo interno un prezioso Crocifisso ligneo medievale attribuito a P. Buffelli.
La visita a Calimera si può concludere presso il Museo Civico di Storia Naturale che, riorganizzato da pochi mesi, ospita collezioni di fossili, farfalle. Presso il museo, è attivo un centro di recupero della fauna selvatica in difficoltà che, una volta curata, viene reintrodotta nel suo ambiente naturale.